C’è un castello, a Campobasso

1 Luglio 2016
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Il 19 luglio fanno 23 anni che ho cominciato a lavorare.
A Campobasso, una città che non conoscevo, ma in qualche modo era legata alla mia storia. Il mio bisnonno, e la mia nonna paterna, erano molisani, di Sepino. Nonna mi raccontava qualcosa della sua infanzia a Sepino, e qualche ricordo del padre, troppo presto scomparso. Erano i primi del novecento, e quest’uomo geniale e intelligente portava le tre figlie al fiume a bagnarsi. Quando bagnarsi al fiume, per il genere femminile, sia pure bambino, era scandalo. Tre figlie femmine aveva il bisnonno Vincenzo. E a chi lo esortava a fare finalmente il maschio rispondeva: “e perché mai dovrei dare un tirannello a queste tre belle figliole?”.

A Sepino aveva poi abitato la mia prozia Mimma, c’erano delle fonti di acqua buona, e una santa col mio nome. E nella piazza il busto di nonno Vincenzo, il padre di nonna, che aveva scoperto la penicillina.

Andare a Campobasso dunque in qualche modo per me è stato ‘tornare a Campobasso’.

Non sapevo dove alloggiare, e per qualche mese mi ha ospitato una zia che non conoscevo, zia Teresa, figlia della primogenita di Vincenzo, Rosetta, la sorella maggiore di mia nonna. Dormivo in un appartamento sullo stesso piano del suo, condividendolo con un’anziana zia Pina i cui intrecci di parentela mi sfuggono un po’, credo fosse una zia del marito di Teresa, ma non ne sono sicura. La zia Pina aveva un deambulatore, ma restava quasi sempre in poltrona a guardare “la ruota della fortuna”. Io nel salotto non andavo, stavo nella mia stanza, raramente anche nella piccola cucina. Zia Teresa mi faceva trovare qualcosa per pranzo o per cena, per quando uscivo dall’ufficio. Me lo lasciava direttamente in cucina, o nel frigo. Quando vedevo il piatto pronto, sul tavolo, quasi piangevo di gioia. Mi sentivo così sola, derelitta, abbandonata, e le attenzioni di zia Teresa erano balsamo prezioso. E il ruoto di peperoni era uno spettacolo!

C’erano due altre zie in un altro appartamento sullo stesso piano, sorelle di zio Pasqualino, marito di Teresa. Non ricordo i nomi, e non le ricordo individualmente. In coppia, le ricordo. Facevano la torta di cocco più buona del mondo. Me ne lasciavano sempre una fetta. La fetta di torta di cocco più buona del mondo.

Zio Pasqualino amava la musica classica. Era socio, fondatore mi pare, dell’associazione “amici della musica”. Aveva una stanza attrezzata per l’ascolto, e a volte mi faceva ascoltare brani a me sconosciuti. Mi registrava cassette, anche. Ho amato Gluck, con lui, la danza degli spiriti beati, la riascoltavo in loop. Mi è capitato di sentirla ieri di sottofondo a una serie televisiva e ho avuto un sussulto e occhi pieni di lacrime.

I miei cugini, Luigi e Vincenzo, mi mostravano qualcosa della città. Luigi mi ha accompagnato a fare la mia prima spesa. Con lui, ho imparato ad apprezzare i prodotti molisani, quell’anno, l’olio Colavita, la pasta “La Molisana”, le trofie, che ancora oggi compro beandomi di quella lenticchia di orgoglio molisano dentro di me. Vincenzo mi accompagnò a comprare i libri per l’esame di diritto internazionale, che ancora dovevo fare. Entrambi mi insegnarono come riconoscere la via di casa, io che ero così poco abile nell’orientamento. C’era una casa colorata, mi pare fosse rosa, che faceva da riferimento. E si era in Viale Elena. E non c’era poi molto da confondersi, Campobasso è piccolina, le distanze sono facili, e c’è persino un castello, e una fontana di acqua buona.

C’è un castello, a Campobasso, una fontana, una zia Teresa. E parte della mia storia, dal sapore dolce.