MUSIC BEHIND

Behind the music, questo avrebbe dovuto essere il titolo di un progetto fotografico sui liutai e sui costruttori di strumenti musicali. Ovvero, un progetto su tutto ciò che sta “dietro” la musica, prima della musica. E “prima” c’è il lavoro del liutaio; l’immagine, nella sua mente, dello strumento che realizzerà, la sua forma, il colore, il suono. Già, il suono! Perché i liutai non sono come altri artigiani, che possono limitarsi a realizzare oggetti pur bellissimi, pur funzionali, ma muti. I liutai devono costruire oggetti che suonino! E questo suono, che sarà dello strumento, è nella loro mente, e nello loro orecchie, già prima che essi mettano mano al legno o al materiale che useranno. E’ già lì, il suono del violino, o della viola, o del contrabbasso, è già lì, nella bottega del liutaio. E’ lì mentre il legno viene scelto, viene tagliato, piegato al calore della fiamma, levigato, verniciato. Il suono è sempre presente, come un vento sottile, una leggerissima brezza luminosa. Ondeggia nelle ombre, negli angoli scuri della bottega, si muove, danza nella forte luce della lampada che illumina lo strumento in costruzione, torna ad avvolgersi in sinuose spire verso l’oscurità. Quel suono è già musica. Non la musica suonata dal concertista, non ancora, non quella suonata nei teatri, nelle piazze, nei locali, la musica che sta “davanti”. E’ musica, questa, che sta dietro. Ed è questa musica che cerco, che ascolto, che sento, quando fotografo un liutaio nella sua bottega, è questo il suono che voglio portare nelle mie foto, la musica che sta dietro. Music Behind.

La scelta di lavorare in pellicola è stata in apparenza casuale, avevo una vecchia nikon analogica che nessuno aveva più usato da almeno vent’anni, e provavo a farla funzionare. Ce l’avevo con me il giorno che ho fatto i primi scatti in una bottega di liuteria per partecipare ad un concorso fotografico il cui tema era la “musica”, ed è stato naturale continuare così anche quando, diverse foto e diversi liutai dopo, mi sono resa conto che questo mio fotografare stava prendendo la forma definita di un progetto.

Una scelta molto poco meditata, in apparenza. Eppure… eppure da quando ho scattato le prime foto, nel maggio del 2011, ho più di una volta avuto l’occasione di ritornare su quella scelta, di mettere da parte macchina analogica e pellicola, smettere di combattere con ASA, sviluppi e stampe, e passare all’affidabile digitale. Cosa me lo ha impedito?

Una certa idea romantica, forse, un innamorarsi del bianco e nero dei primi grandi maestri della fotografia.

Ma anche l’aver percepito, da subito, una maggiore disponibilità a lasciarsi fotografare in pellicola rispetto al digitale. Come se lo strumento ormai antico fosse meno “pericoloso” di quello moderno. E la sensazione che il non poter vedere subito il risultato dello scatto porti con sé una maggiore rilassatezza, un lasciarsi andare con fiducia. L’immagine latente è meno invadente dell’immagine digitale; è misteriosa, evanescente. E’ nell’occhio del fotografo, non nella macchina, e il rapporto fra fotografo e fotografato si fa più immediato, la macchina resta solo un dettaglio sullo sfondo, non più una barriera da superare. L’immagine latente, sinuosa, si mescola alla musica latente, che spira delicata nella bottega del liutaio. E il tempo, dell’immagine che nasce, dello scatto, il tempo dello sviluppo e poi della stampa, è tempo di musica. Attese e movimenti, pause e note. Ed è il tempo del lavoro manuale, del costruire lo strumento, anche.

E allora la pellicola mi permette di danzare, tenendo il tempo del lavoro del liutaio, e della musica che sta dietro.