Niamh

20 Novembre 2014
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E così anche Niamh ci ha lasciato, questa mattina presto ha smesso di respirare, mentre le baciavo la testolina morbida e le sussurravo di non avere paura, che ero lì con lei, e invece ero io ad avere paura, di questo mistero che chiamiamo vita, che un momento prima c’è, e un momento dopo non più.

L’ho avvolta in un mio vestito di lana, gli ultimi giorni avevo voluto tenerla al caldo con quello, e l’ho portata dalla veterinaria, il suo ultimo viaggio nella trasportina. La veterinaria ha sistemato nel vestito anche una monetina, per Caronte, si sa mai…

Diciassette anni, si può dire che siamo cresciute insieme.

E’ entrata nella mia vita il 29 giugno del 1997, non aveva tre mesi. Ce l’ho ancora nelle mani la memoria di quella leggerezza di piuma, bastava un dito a spostarla. Quelle zampette lunghe e magre, le orecchie grandi, nessuno dei parametri del buon persiano rispettati, sembrava scaturita dall’incrocio con un pipistrello, piuttosto. Buffa, si muoveva come un cartone animato, chiudendo gli occhi senza sincronia, come le bambole di una volta. Col tempo però è diventata una magnifica gattona ben proporzionata. La sollevavo in alto, di tanto in tanto, e a beneficio di un’immaginaria audience di mostra felina gridavo: “miglior gatto!”, e lei rideva. Già, anche i gatti ridono, a saperli ascoltare.

Giorno per giorno abbiamo consolidato la nostra routine di coccole e fusa. La sera mi avvicinavo al divano e lasciavo che mi salisse su una spalla, così insieme ci dirigevamo verso la stanza da letto. Qualche volta che tardavo ad andare a dormire mi chiamava piagnucolosa, guardandomi con occhi pieni di sonno, ciondolando un po’ la testa. Se proprio facevo tanto tardi mi precedeva, infine, e mi aspettava già nel letto. Dormiva accanto a me, più spesso sul cuscino, e ancora più spesso direttamente sulla mia faccia. Mi capitava di risvegliarmi per improvvise apnee, costretta a rapidamente volgere il viso in cerca di aria.

Amava il merluzzo lesso, si spazientiva nell’attesa della cottura al microonde, di cui seguiva attentamente tutte le fasi senza allontanarsi dallo sportello.

Odiava il sax, suonato da me. Al solo vedermi prendere la tracolla cambiava stanza, senza fretta ma con determinazione, e felino aplomb.

Aveva una particolarità tutta sua. Come il camaleonte cambia il proprio colore in relazione all’ambiente, così lei cambiava il profumo del pelo a seconda delle essenze presenti nell’aria. D’inverno, quando eravamo in visita dai miei, col caminetto acceso, prendeva un persistente odore di provola affumicata, gustosissimo. A volte sapeva di sapone, o di miele. Spessissimo il suo pelo sapeva di zucchero filato, e non me lo sono mai spiegato questo profumo, a casa mia non poteva trovarlo. I profumi non li assumeva, soltanto. Li trasformava.

Mi mancherà, la mia Niamh.

Non credo in demoni e dèi, né paradisi, né altro. No. Però credo nelle buone storie, nella fantasia, nell’amore che resta. E allora… see you on the other side, mia piccola Niamh.