Villaggio Pifano

11 Marzo 2011
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Avevo sei anni la prima volta che siamo andati, in vacanza, al Villaggio Pifano, vicino Sapri. Avevamo una casa proprio sulla spiaggia.

Ho pochi ricordi sparsi, di quell’anno. Ma intensi.

Imparai ad andare sott’acqua. Mi immergevo trattenendo il fiato, e fingevo di avere una casetta sotto il mare. Aprivo gli occhi, e vivevo nel blu.

Cercavo i vetri colorati, sulla battigia, quelli levigati dal mare. Li facevo asciugare sul davanzale della finestra, poi ci giocavo come fossero persone, inventavo storie. Ogni vetro aveva la propria personalità, che indovinavo dal colore e dalla forma.

Qualche volta andavamo a piedi fino a Villammare, il paese vicino, a prendere il gelato. Al ritorno camminavo vicino a mio padre, la strada era buia. Si sentivano i grilli cantare. Cri Cri Cri. Vedi? diceva mio padre, chiamano te. E io ero felice, che tutti quei grilli chiamassero proprio me…

Qualche volta andavamo a vedere un film. Lo squalo, l’orca assassina, ma forse era l’anno successivo. I genitori non erano entrati con noi, avevano preferito fare una passeggiata. Mio fratello ed io, dopo, eccitati dalla storia terribile che avevamo vissuto nel cinema, raccontavamo le scene truculente, i genitori un po’ perplessi si chiedevano se non avevano forse commesso un errore a lasciarci andare. Noi ridevamo del loro scandalizzarsi, ci sentivamo grandi.

Ricordo un bambino che mi piaceva, era grande, aveva già otto anni. Mi corteggiava deciso. Io facevo la ritrosa. Un giorno mi chiese un bacio sulle labbra. Io rifiutai sdegnata. Per convincermi e umiliarmi un po’ mi disse che un’altra bambina, paffutella e rossa di capelli, aveva solo cinque anni ma mica aveva fatto tutte queste storie, l’aveva baciato. Guardai la bambina che sorrideva maligna. Puttana, pensai, e me ne andai.

Un uomo provò ad adescare noi bambini. Raccontò che nel canneto c’erano delle mosche bianche, speciali, che erano ottime come esche per i pesci. Ci diede appuntamento la sera a mezzanotte nel canneto. Mi raccomando, aggiunse, acqua in bocca con i genitori. Era improbabile che riuscissimo ad uscire non visti di notte, ma la cosa aveva il sapore dell’avventura. In ogni caso io rovinai tutto, perché a cena la sera chiesi a mio padre cosa significasse “acqua in bocca”, e raccontai. I genitori raddoppiarono la sorveglianza, e forse dissero qualcosa sugli sconosciuti e le caramelle. O forse l’avevano già detto, ma nessuno ci aveva mai parlato di sconosciuti e mosche bianche…

C’erano anche tre ragazze che abitavano in fondo alla strada. Immagino fossero in vacanza con i genitori, ma io ricordo solo loro. Erano bionde, bellissime. Andavo a guardarle nel pomeriggio, mentre facevano asciugare i capelli al sole, sedute sul davanzale della finestra, al piano terra. Da quella finestra entravano e uscivano anche. Capelli lunghi biondi e finestre furono, per me, tutt’uno con la libertà, e la bellezza.