Di taxi e di tombole

13 Aprile 2010
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Sto andando al “28diVino” per il nostro concerto di stasera. Il primo, per me.

Il tassista è incuriosito dalla mia custodia. Mi chiede da quanto tempo suono il violino… E’ un sax, dico sorridendo.

Mi chiede che genere suono. Non ascolta il jazz, preferisce il rock, lui. Suona la chitarra. Poco. Ma la musica, dice, anche a suonarla così, per divertimento, è rilassante, è uno sfogo, come correre, anche. Gli piace correre. A suo padre invece non piaceva. Neanche camminare, gli piaceva. Alla moglie diceva sempre, quando andrò in pensione, vedrai quante belle passeggiate ci faremo. E’ morto prima. La moglie ha detto, pur di non camminare, è morto! Ora è passato un po’ di tempo, si possono fare anche battute sulla sua morte, non è più così doloroso come all’inizio. E qualche volta a lui, al tassista, sembra quasi che il padre ci sia ancora.

C’è, dico. In qualche modo c’è.

Non so perché lo dico. Non credo in dio, non credo al paradiso, non credo agli spiriti… non credo a nulla, quasi. Eppure, so che qualcosa resta, dopo la morte. Qualcosa come un respiro, non so.

Dice, il tassista, che nella casa che abbiamo appena superato viveva suo zio. Era diversa, San Lorenzo, prima, quando suo zio abitava lì e lui bambino andava a trovarlo. C’era la gente del quartiere, era una bella zona popolare. Ora ci sono solo studenti universitari, e confusione a tutte le ore, soprattutto la sera.

Giocavano a tombola, a Natale, a casa dello zio. A nessuno piace la tombola, dice, ma in ogni famiglia c’è sempre una nonna che vuole giocare, e tutti s’adattano per farla contenta.

Mia nonna voleva sempre tenere il cartellone, dice. Sempre. Ma ci metteva una vita a tirare fuori i numeri, era lentissima. Prendeva il numero, poi cercava gli occhiali per leggere, e ogni volta non li trovava, e allora tutti a cercare gli occhiali della nonna, poi leggeva il numero, 90 diceva, e sempre ci doveva stare qualcuno accanto a controllare, e a correggerla con tatto, non è il 90 nonna, è il 60, vedi la linea? E la zia, figlia della nonna, si alzava a fare il caffè, tanto fra un numero e l’altro faccio in tempo, diceva, e senza il caffè arriviamo tutti addormentati alla fine della tombola. E i numeri avevano un significato. Novanta la paura, settantasette le gambe delle donne, e c’era sempre uno zio che aspettava solo quel momento, tutto il tempo, per dire la battuta “le gambe delle donne!”. E se ti scappava un numero, e non ricordavi più cosa era uscito e cosa no, allora non dovevi mai chiedere alla nonna, figurati, si faceva prima a sbirciare le cartelle del vicino. Ma i numeri non scappavano mai, con la nonna al tabellone si faceva in tempo a seguire sessanta cartelle tutte insieme. E la nonna voleva sempre vincere. Terno, diceva lui, e tutti “zitto zitto, non lo dire, fai fare il terno alla nonna”. Ma come, protestava lui, ho fatto terno, l’ho fatto io! E lo zittivano ancora, la nonna è anziana, fai vincere lei. Ma io sono piccolo, diceva. Niente da fare, la tombola non è per i piccoli, in fondo, è per le nonne.

Siamo arrivati, abbiamo girato mezza Roma per arrivare qui. Ho speso una tombola, è il caso di dire! Ma sento che sono soldi ben spesi, in cambio ho avuto un bel racconto.